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Seby Ruocco, in arte ICE One: dal graffitiamo metropolitano ad un’arte simbolica ed ideografica.

 

            Seby Ruocco, in arte ICE ONE,  è uno dei capofila della Graffity-Art e attraverso le sue opere possiamo comprendere a fondo uno dei fenomeni artistici giovanili più complessi e provocatori degli ultimi decenni. E’ uno di quelle personalità poliedriche, aperte ed interessate a tutto quanto è comunicazione, versatile in tutte le arti: dalla musica alla scultura, dal disegno alla pittura, dalla poesia alla letteratura, dalla break dance al rap. Nato a Torino  nel 1966 ha esposto in mostre collettive e personali in varie città europee, ricevendo numerosi premi e consensi di critica e di pubblico. Il suo primo premio risale al 1981 nell’ambito della mostra “Arte come educazione e incontro nella Scuola”, presso l’Istituto Tecnico Commerciale Paolo Toscanelli di Roma. Nel 1991 la sua prima personale “GRAFFITI” alla galleria “Spazio Visivo” di Roma è curata e presentata dal prof. Alfredo Cantone, ispettore Onorario dei Beni Culturali ed Ambientali e ripresa dalla televisione di Telemontecarlo.

            Il suo successo è immediato, poiché riesce a trasferire la sua esperienza di graffitista dai muri delle città e dai vagoni dei treni  su grandi tele e sulle pareti delle discoteche realizzando l’urgenza e l’esigenza della estemporaneità su superfici che nella loro misura rappresentano intenti che vanno al di là dell’occasionalità. In bilico tra astrazione e simbolismo, il graffitismo di quest’artista realizza un linguaggio in linea con il tempo in cui viviamo e che ha come motivazione l’intento di smascherare i falsi messaggi  che, attraverso i mass-media, cercano di condizionare  la vita di tutti nell’evoluzione comportamentale.

            Nel 1982 ha illustrato favole per il mensile "Il Semaforo" di Roma ed ha eseguito la copertina del catalogo d'arte "San Francesco tra poesia e preghiera" editato dalla Comunità Montana dell'Aniene". Nel 1988 ha partecipato, su invito, alla I Biennale d'Arte "Omaggio a Salvatore Quasimodo" a Palazzo Valentini e nel 1990 alla II Biennale "Dante Alighieri" esponendo tra artisti di valore internazionale come Dragutescu, Ochoa, Calabria, Messina e Monachesi. Nel 1991 ha preso parte nello Spazio Aperto ai Giovani, alta mostra "Tecniche a Confronto nell'Arte Contemporanea" presso il Museo Nazionale di Arti e Tradizioni Popolari dì Roma ed all'esposizione "Lions Club" a Palazzo Barberini. Con il patrocinio del Comune di Tuscania ha allestito una mostra personale nella sala "G.Cesetti" dell'ex tempio di S. Croce al Colle.

            Suoi graffiti murali si trovano presso la discoteca Opera di Roma,  Check to Check di San Giovanni in Persiceto (BO), Kings di Porto Santo Stefano, La Buca di Porretta Terme, al Penny Club di Frascati e presso gli studi televisivi di Rai 3 (dove ha partecipato alla trasmissione televisiva "Orecchiocchio") e presso gli studi DEAR della RAI TV di Roma (dove ha partecipato alla trasmissione “Gran Premio” con Pippo Baudo). Nel luglio del 1991 ha partecipato alla creazione in diretta di un megamurale nell'ex fabbrica Mira Lanza di Roma nell'ambito del  "Keith Harring exibition" per sensibilizzare l'opinione pubblica ad acquisire maggior conoscenza del presente e dei suoi valori. Nel 2006 l’Accademia Spazi Futuri di Roma gli ha conferito una medaglia della Camera dei Deputati per la globalità del suo lavoro in campo artistico e culturale.

            In musica annovera successo dopo successo come la sigla radiofonica di “Planet Rock”; la base musicale di “Quelli che ben pensano” che nel 1997 vince la prima edizione del PIM (Premio italiano della Musica); “Musica grande”, inserito nel videogioco Fifa 2004 e le colonne sonore dei films “PAZ”, “Una talpa al Bioparco”, “Amatemi” di Renato De Maria, “Le amiche del cuore” di Michele Placido e “Le fate ignoranti” di Ozpetek. Nel 2006 la sua ultima fatica letteraria è la presentazione del libro di fotografie “L’immagine del suono” di Alessia Laudoni.

            Hanno scritto di lui i critici: Gianni Asdrubali, Elisabeth Bozzi, Alfredo Cantone, Giacomo Cesario, Luca De Gennaro, Gianni Di Ghio, Gianni Franceschetti, Augusto Giordano, Anna Iozzino, Lino Lombardo, Tiziana Luciani, Elio Mercuri, Sante Monachesi, Gioia Re, Antonio Sorgente, Giorgio Tellan ed altri.        

            Nel 2011 Seby Ruocco, con uno scritto teorico molto interessante, ha riassunto le linee operative del suo linguaggio artistico pervaso da una assoluta libertà creativa e le modalità critiche, filosofiche ed inventive che lo hanno animato nella sua continua evoluzione.

Pervaso da un fervore intellettuale tra l’altro scrive: ”Fin da ragazzo sono stato affascinato dalla naturale corrente che intercorre tra suono e segno, ho sempre considerato il mio percorso pittorico e musicale come un unico binario sui cui muovermi per esprimere la mia creatività.  Il mio operare artistico ha sempre rispettato lo schema di inizio e fine opera in maniera alchemica, in cui l’ultimo tassello è lo sguardo del fruitore. La mia filosofia personale è quella di essere sempre Nuovi come il Futuro, per cui ogni opera è il frutto di un profondo processo transpersonale e trasmutativo, per il quale sono un artista morto e risorto tante volte e la frammentazione stilistica della mia produzione va vista come un percorso in cui esaurisco di volta in volta un canone stilistico, i cui residui vanno ad innestarsi come un virus in altri impianti creativi, spirituali e fantastici da far vivere, trasformare, rivoluzionare ed evolvere.

            Il mio percorso prende le mosse dapprima dall’arte figurativa in cui la riproduzione del reale e della natura mi servono quasi da addestramento per poi concepire e vedere la realtà più sottile e spesso invisibile delle cose. Prosegue in una visione chiaroveggente dell’osservazione dell’essere umano decostruendolo ed estraendo la parte più oscura delle persone.  Da lì il periodo delle mostruosità  in cui  rivelo il vero volto di alcuni esseri umani, belli fuori, ma brutti dentro. La mia protesta sociale prende le mosse proprio da questo aspetto, e la lotta artistica che intraprende non ha nessun nemico se non l’ignoranza in cui da secoli si rigira la maggior parte del genere umano.

             Nei primi anni Novanta sposo la filosofia del Graffitiamo-Metropolitano, diventandone uno dei massimi esponenti in Italia e, spesso, dipingevo, al suono della musica rap, con le bombolette spray e con gesti volutamente spettacolari sul filo emotivo di un’astrazione informale densa di forza evocativa. Il nesso con il graffitismo nasce a causa del forte valore ideografico di questo tipo d’arte potente e straripante di energia: una novella Arte-Geroglifica che sui muri urbani porta con sé, quasi sempre in incognito o con un nickname, segni, simboli, parole, immagini e comunicazione subliminale ed in cui l’artista fa un passo indietro rispetto all’opera, che diventa il vero centro di attenzione, finalmente fruibile anche in contesti e momenti meno ordinari come i musei e le gallerie. Attraverso le mie opere ed i miei scritti teorici di questo periodo ho cercato di stimolare gli altri giovani come me ad elevare il livello di attenzione e decodificare le immagini per identificarne il vero significato comunicativo ed acquisire coscienza dei nuovi valori e disvalori della società contemporanea.

            Nei primi anni Novanta, dopo circa un decennio di studi esoterici,  in comunione completa con la mia parte più alta della Coscienza, percepisco che colui che opera è solo un mezzo e che la sua unica fortuna è di essere il primo spettatore dell’opera che sta passando attraverso di lui. Inevitabilmente mi confronto col valore dell’arte simbolica e ideografica ad un livello ancora più archetipico, in cui i principali protagonisti sono le bugie dello status quo, ed il reale problema del rapporto tra bene e male, visti come forze che generano la dimensione in cui viviamo. Mai polemico, ma costruttivo nelle mie opere più recenti cerco il confronto con la rabbia repressa dei fruitori, che persi nel vuoto senza certezze dei nostri giorni e nel torpore di una cultura dogmatica hanno dimenticato il loro “inner child”, perché i bambini hanno un innato senso per le verità  assoluta scomode ed  il loro rapporto con la vita e la morte è molto naturale, come quello degli animali più semplici. Anch’io, come i bambini mal sopporto le ingiustizie.

             Le tecniche che adopero attualmente sono sempre miste perché allargano il senso ed il valore dell’arte con una particolare predilezione per l’acrilico. Lo stile in cui mi esprimo è basato su una trascrizione emozionale  di una realtà interna alla mia coscienza, spesso nell’assenza di un’immediata riconoscibilità, ma nel forte connubio tra particolare ed universale, grafica e pittura, mischiando il vecchio col nuovo ed utilizzando i colori in maniera attiva, la luce per rivelare e le ombre per nascondere, ma come parti integranti del mio linguaggio espressivo”.

                                                                                         Dott.ssa Anna Iozzino

                                                                                                         (storica e critica d’arte)